Come preparare uno Swan 65 di cinquant'anni fa per il giro del mondo

2023-02-16 16:18:34 By : Mr. Shuwen Zheng

Prendere uno Swan 65 del 1974 (qui vi abbiamo raccontato perché lo Swan 65 è una barca icona, sogno di ogni velista) e prepararlo per un giro del mondo a vela senza tecnologie moderne a bordo e possibilmente vincere la regata. Questo il compito, non semplice, affidato al team di Vittorio Malingri (in collaborazione con VMV Yacht Design di Marco Veglia) da Translated, l’azienda partner della barca italiana (che si chiama, appunto, Translated 9) che parteciperà alla Ocean Globe Race 2023. 

Vittorio Malingri, uno dei più esperti e conosciuti navigatori italiani, in questo articolo (scritto mentre lo Swan 65 Translated 9 navigava verso Città del Capo, per prendere parte alla regata Cape2Rio),  spiega come ha “‘ribaltato’ Translated 9 per prepararla a percorrere, tra allenamenti e regate, oltre 50.000 miglia a fiamma negli oceani più impegnativi del globo. Aumentandone le prestazioni il più possibile per avere alla partenza un mezzo capace di vincere la regata”. Una lettura ricca di consigli utili anche per la vostra barca, con tanti protagonisti.

L’avventura, in tutte le imprese di navigazione che si rispettino, inizia sempre o davanti ad alcuni sketch e un tavolo da disegno, o in piedi con il naso all’insù, lo sguardo rivolto verso una barca sull’invaso. Nel nostro caso tutte e due.

Oltre alla collaborazione di Team Malingri per la conduzione della barca, la formazione e l’allenamento dell’equipaggio, per il refitting e la preparazione alla regata ho fornito al Translated Team l’esperienza e il know how di VMV Yacht Design.

Abbiamo operato sullo Swan 65 un vero e proprio “tuning” simile a quello che si fa sui mezzi motoristici classici, non un restauro ma una riprogettazione generale che, pur conservando molte delle caratteristiche estetiche e l’impianto di base, rende il mezzo molto diverso dall’originale e migliora parecchio le caratteristiche tecniche.

Viste le caratteristiche della barca di serie, e quelle del regolamento della Ocean Globe Race 2023, era per dei progettisti una sfida molto difficile ma anche estremamente stimolante ed interessante.

Lo scenario su cui io e Marco Veglia abbiamo calibrato le varie scelte, è molto particolare e inedito:

-Marco Trombetti e Isabelle Andrieu (i fautori del progetto del giro del mondo di Translated 9) hanno identificato nella classe Flyer, quella riservata alle unità che hanno già partecipato ad una delle prime 4 edizioni delle Whitebread, quella giusta per il tipo di avventura che vogliono vivere e raccontare.

-Non è facile trovare queste barche, più difficile è trovarne una con possibilità di podio. L’unica possibilità era comperare l’ex ADC Accutrac di Clare Francis, che di Whitebread ne ha fatte due, uno Swan 65 ketch di S&S ridotto in pessime condizioni da mancanza di manutenzione seria e vari refitting di bassa qualità.

-L’OGR è il giro del mondo in regata attualmente più difficile e pericoloso. La ragione principale è il tipo di barche con cui si partecipa, barche che nascevano per la crociera o altri tipi di regate. Negli anni ’70 imperava lo I.O.R. che penalizzava troppo le forme di carena in tutto quello che concorre a navigare bene, costringendo i progettisti a disegnare carene forzate dalle misurazioni della formula. Le più brutte e meno marine mai prodotte.

-L’OGR è anche difficilissima per le sue regole. Ad esempio è vietato l’utilizzo della telefonia satellitare con cui si ottiene una meteorologia precisa che se necessario permette di stare lontani dai casini. Le regole impongono l’utilizzo di materiali dell’epoca. Sono vietati bompressi, vele a inferitura libera e stralli antitorsione.

Nella nostra classe è una regata di alto livello e tiratissima, abbiamo contro Marie Tabarly su Pen Duick VI e l’ Esprit de Equipe, che l’ha anche vinta, entrambi con il coltello tra i denti. Sarà un ritmo altissimo, da Ocean Race.

E’ escluso correre con l’avvolgifiocco e dobbiamo essere molto marinai, rischiare più di chi corre con barche fatte per l’oceano che vanno diritte con poco sforzo, cambio veloce di fiocchi avvolti e spi con calze che si fa principalmente vicino all’albero, equipaggi che lavorano la maggior parte del tempo ben protetti da doghouse integrali. Il progresso. Infierire fiocchi a prua o calare spi surfando a intermittenza a 20kn è una vita più simile a quella del marinaio dei clipper a vele quadre o del multiscafista estremo.

-Lo Swan 65 di S&S è tutt’oggi una barca di moda perché elegante e per il tipo di clientela e, come tanti mezzi non particolarmente brillanti per le loro caratteristiche tecniche (es. Ford Mustang), è diventata un “cult”. Sparkman & Stephens hanno disegnato la barca giusta per l’epoca (sbagliata), un crociera/regata I.O.R., non era viceversa, per persone facoltose.

Disegnata per la costruzione in serie, quindi contenimento costi, è di qualità costruttiva media per l’epoca, con materiali ordinari in grandi spessori. Risultato pesantissimo. Progettata per pesare 26,5T, le prime nove come Translated 9, è stata poi corretta con l’aggiunta di 2,4T di piombo. Le prime pesano 31/32T a vuoto, le altre 2,4T in più.

Cioè le prime pesano il 23% in più del progetto iniziale, le altre quasi il 34%!. La maggior parte della zavorra è nella parte anteriore e alta della deriva, inefficiente per il raddrizzamento. Peso che si poteva evitare, infatti le 2,4T sono state aggiunte nel codino della deriva per correggere, solo in parte, l’assetto appruato.

La carena è forzata dalla misurazione della catena poppiera; dà lo stesso effetto che girare in auto con il freno a mano perennemente tirato. Prestazioni: con vento la barca di serie fa 9/10 nodi in qualsiasi andatura, qualsiasi cosa succeda. Per un breve momento, in caduta libera sull’onda Big Mama, 12/14kn.

Surfare non è il suo forte, nei mari del sud è un problema, e molto pericoloso, per l’equipaggio; se non gli scappi davanti il frangente ti prende e la straorza è inevitabile. Di bolina stringe benissimo e va, ma è uno “scavafango”, vedi zavorra inutile a prua che la rende bagnatissima sul ponte.

E’ molto dura da portare, ha carichi enormi che tritano equipaggio, vele, cime e attrezzature; tutto è pesante e grosso. Va bene, con fatica, fino a che la si porta invelata giusta, ma quando si inizia a tirare diventa un campo di battaglia. Al lasco o il timoniere e Hulk, o ci vuole un aiuto per puggiare sulle straorze. Il ponte non è per regatare, all’epoca aveva molti winches disseminati tra albero e il pozzetto, ma non va bene per navigare veloci nei mari del grande sud.

La parte anteriore del pozzetto è in posizione rialzata, se si perde l’equilibrio da lì si fila direttamente in mare senza neanche toccare la battagliola. In pozzetto non c’è posto per manovre distanziate, il sartiame dell’albero di mezzana ostacola la traiettoria rinvii/winches del pozzetto alla maggior parte delle manovre.

-I messicani di Sayula hanno vinto la prima edizione della Whitbread soprattutto perché sono stati coriacei, per il rating molto basso che gli ha dato buon vantaggio su lunghissime percorrenze, e anche per una buona dose di fortuna, che serve sempre, quando si è ritirato Pen Duick VI a causa del disalberamento. Nelle edizioni successive né questa, né le barche gemelle sono mai andate oltre il quinto posto. Oggi corriamo in IRC che, rispetto a Pen Duick VI, non sarà così buono con noi come lo è stato lo IOR con Sayula.

-Anni fa ho aiutato a comprare e trasferire in Italia “Shirlaf” che, sviluppato al di fuori del circuito del brand, oggi è il 65′ S&S più evoluto dal progetto originale e più veloce nelle regate tra le boe. Anima di questo “tuning”, oltre al suo armatore Giuseppe Puttini, è stato Stefano Pelizza di International Structural Design, bravissimo marinaio con esperienza oceanica. Entrambi ci hanno messo a disposizione esperienza e banca dati.

-Dopo la OGR Translated 9 potrebbe essere venduta. Per questo dovrà recuperare tutte le sue funzioni e lo charme di barca da crociera. Dovrà essere per il suo acquirente un ottimo acquisto, cioè mantenere per altri 15 anni e centinaia di migliaia di miglia, la solidità e l’affidabilità del suo standing rigging e per altri 50 quella di tutto il resto.

VMV Yacht design è una realtà che non ha mai sgomitato per avere un ufficio a Milano o clienti ricchi e famosi. Siamo concretezza ed esperienza, cuore e passione, disegniamo tutto, raddrizziamo qualsiasi cosa, risolviamo casini. Trasformare Translated 9 in una barca molto migliore per me e Marco Veglia era ed è stato un lavoro appassionante.

Non mi piace millantare vittorie in anticipo, voglio avere il potenziale di vincere sulla linea di partenza; per farlo serve una barca attualizzata e potenziata in tutto quello che è permesso dalle regole di regata. Serve una barca preparata al meglio che faccia tantissime miglia prima, più della regata stessa, per verificare, ottimizzare, per conoscerla a fondo e allenare l’equipaggio.

Marco e Isabelle hanno lo stesso obiettivo; con i loro collaboratori più stretti, hanno messo sul tavolo intelligenza, competenza e i mezzi per prepararci al meglio.

La scelta del cantiere è stata naturale, Moana Shipyard ha una vasta e comprovata esperienza di costruzione e preparazione di barche specifiche per l’oceano a costi reali. E’ un hub per artigiani, alcuni presenti da sempre, come i falegnami di Exol Renzo e Andrea Ricci e Papi il gigante senegalese amatissimo da tutti. Altri, come Tommy Stella, Maurizio Cazzini, Tiziano Rossetti, collaborano a progetto e sono stati compagni di costruzioni o refitting di barche per l’oceano e di navigazioni e regate impegnative.

Altri come Yevgen Dubchak e i fantastici, bravissimi carrozzieri ucraini di MegayachtPro li abbiamo incontrati per strada, ma rimarranno sempre amici e terzisti di Moana Shipyard.

E’ fondamentale per un team sportivo, e per un armatore, non sperperare budget in utili di impresa o brand altrui, ma concentrarlo sulla sostanza della barca, in performance e affidabilità. Moana Shipyard funziona a costi vivi e mette a disposizione dei clienti i suoi sconti cantiere, il tutto senza ricarichi. Ciò ha permesso al Translated Team di risparmiare un 40% medio su materiali e attrezzature e un 15/30% su utili di imprese altrui. Una bella cifretta da spendere in gestione e materiali di qualità per andare forte.

A questo punto ci serviva un area coperta vicino al mare. Marelift, a Fano, mette a disposizione spazi e movimentazioni. E’ vicino a dove abitiamo e nella zona dove operiamo da tantissimi anni e dove abbiamo tessuto relazioni con artigiani e fornitori.

A rinforzare il team è arrivato Riccardo Serranò, ora fuori in pozzetto al timone. Lo “Zio Ric” è un bravo marinaio, rigger, ottimo cuoco e ha le mani d’oro; ha capitanato lo Swan 65 Translated 9 dal suo acquisto in poi. E’ un onore essere suo amico e un privilegio aver diviso con lui gioie e dolori di tutto quello che vi vado a raccontare.

Mio figlio Nico che, sbarcato da Maserati un anno prima, si era trasferito in pianta stabile a Boca del Toro, a Panama, a surfare la migliore onda del Caribe tra uno skipperaggio e l’altro, sarebbe arrivato solo a gennaio, con Maurizio Cazzini, impegnato a finire altri lavori.

Il primo novembre 2021 io, Riccardo e Marco Veglia ci siamo trovati sulla banchina di Marelift per disalberare e alare lo Swan 65. In VMV Yacht Design avevamo stabilito una serie di interventi da fare nel frattempo che la riprogettazione procedeva.

La barca era messa malissimo: scafo al 99% di umidità sotto e sopra, il longherone d’acciaio zincato, che tiene i prigionieri della zavorra, arrugginito e molto corroso sotto l’albero (difetto della serie S&S e seguenti), attrezzatura di ponte, originale o quasi da sostituire in toto, falchetta un colabrodo, teak del ponte finito da rigommare, impianti elettrico, pompe di sentina, idrico e motore in parte originali e in parte raffazzonati alla meglio.

Una giungla di cavi e tubi che impedivano l’accesso allo scafo quasi ovunque. Poi c’erano da fare tutti i controlli e i lavori imposti da OGR, tra cui lo smontaggio e la verifica professionale di tutti gli acciai, per cui lande, musone, assi timone e elica, e i 15 serbatoi.

La nostra lista di lavori riguardava più o meno questo, oltre alla revisione del generatore, il cambio del sartiame e il rimontaggio del tutto in modo più professionale e nelle posizioni giuste. Durante lo smontaggio avremmo progettato una nuova disposizione dei grandi pesi fissi, il nuovo piano di ponte, una nuova geometria per parte del rigging, un nuovo piano velico, la doghouse e i vari impianti interni. Sei mesi dopo, a fine aprile 2022, saremmo dovuti andare in acqua. Non sapevamo quello che ci aspettava.

In quei giorni sono arrivati Tommy Stella e Tiziano Rossetti e, mentre Marelift si occupava della sabbiatura delle carena, abbiamo iniziato a smontare tutto quello che era possibile svitare dalla barca dentro e fuori. Sono iniziate le sorprese e i dolori.

Sotto lo spesso strato di stucco epossidico, dato sull’opera viva senza aspettare che la carena fosse asciutta, c’erano tre strati di laminato che venivano via a spatola, come intonaco marcio. Idem sul ponte sotto il teak incollato col silicone sbagliato e male, con tutte le viti del primo ponte tagliate o mancanti e con i fori aperti, del gran marcio da asportare e un sacco di acqua all’interno del sandwich.

Sull’esperienza dello Swan 65 Shirlaf e consiglio di Stefano Pelizza, che ha fatto il surveyor da inizio lavori, si è occupato di alcune strutture e ha dato tante ottime indicazioni su tutto, abbiamo analizzato alcuni campioni di vetroresina, trovando un grosso calo delle caratteristiche tecniche della resina.

Purtroppo tutto ciò, oltre ad aumentare il costo, ha richiesto tanto tempo di asciugatura, la laminazione di strati esterni, il rinforzo delle strutture a cui sono attaccate le lande, un sacco di carrozzeria, perché da molte zona dello scafo è venuto via così tanto materiale da perdere l’avviamento delle linee. Anche gli alberi sono risultati in pessimo stato e non farei un giro del mondo “a fiamma” con tubi di 50 anni snervati.

Morale, i mesi di cantiere sono diventati undici invece che sei. Abbiamo fatto miracoli coinvolgendo parte del nostro possibile futuro equipaggio Niccolò Banfi, Maretta Bigatti, Tommaso Banfi, Andrea Buzzi, Flavia Onore, Federico Mantacci e Matteo Olderico. Abbiamo chiamato John Hammond e Paul Marshall, l’equipaggio di Translated 9 US di San Francisco, temporaneamente fermo dai training tenuti da Paul Cayard per la localization industry. Abbiamo lavorato senza sosta 10 ore al giorno per 8 mesi. Un massacro.

Tutto questo è stato budget sottratto al resto e tempo rubato a formazione e allenamento. Ecco perché oggi stiamo correndo verso Cape Town con ancora una bella lista di lavori, più che altro rigging e ottimizzazione del ponte, che facciamo quando il tempo lo permette, allenando un equipaggio che sta crescendo tantissimo, senza aver avuto il tempo di fare una messa a punto accurata e settimane di manovre.

Ma io, il Nano e lo Zio Ric, siamo quelli delle cose impossibili e, in un modo o nell’altro, “noi ce la caviamo”…per forza!!!.

Nel frattempo davanti ai PC, in un microscopico e freddo modulo ufficio sotto lo Swan 65, VMV era all’opera. Lavorando all’esterno del suo circuito di refitting e cantieristica l’ufficio tecnico del cantiere ci ha negato disegni e specifiche. Ci siamo arrangiati rilevando dal reale e con i disegni trovati in rete, che Marco Veglia ha trasformato in .cad e in 3D. Abbiamo disegnato un piano velico e un piano di ponte preliminari per poter fare liste, preventivi e ordini. Poi Stefano ci ha dato la “nuvola” 3D di Shirlaf, a cui Marco V. ha ottimizzato la simmetria dell’opera viva.

Ne Shirlaf né Translated 9 sono simmetriche nelle linee di carena e nell’allineamento della deriva. Shirlaf aveva il naso delle deriva 9cm da una parte, e vari svarioni nella carena, noi idem, da nuvola 3D fatta ISD su di noi nei mesi seguenti, è emerso che tutta la deriva non era allineata con la mezzeria e tutta 3cm a dx. Poco male tanto avremmo dovuto stuccarla. Anche sul ponte e pozzetto non abbiamo mai riscontrato la stessa misura da entrambi i lati, e non di millimetri.

Ottenuto un 3D veritiero e simmetrico dello scafo Marco ha iniziato a fare conti su dislocamento e assetto. La barca pesata all’alaggio era circa 31,5T a vuoto e molto appoppata. Abbiamo quindi previsto di muovere generatore, batterie e serbatoi dell’acqua in modo da ottenere l’assetto voluto e variabile a richiesta. Scusate ma su queste cose rimarrò vago per proteggere il nostro lavoro, ma il nostro expertise è a disposizione di chi vuole per la sua barca. Poi alla OGR ci dovremo scontrare con altri 65′ S&S che non devono sapere troppo i fatti nostri.

Quindi ci siamo concentrati sul piano velico. Abbiamo disegnato alberi nuovi secondo le regole di regata, con misure generali identiche all’originale o meglio a quelle della nostra barca nel giugno 2019, data da cui non si possono fare più modifiche a misure o materiali. In tutte le mie barche classiche ho variato la geometria del sartiame per ottenere vele di prua di superficie e forma diversa dal progetto originale e la possibilità di tesarle su rotaie poste agli angoli giusti, abbiamo fatto lo stesso. Tra le altre cose abbiamo eliminato il marocchino e disegnato un pennaccino che tiene la testa d’albero in avanti. Via vang e idraulica, inutile, costosa, pesante, fonte di inaffidabilità spesso non riparabili in mare (vedi V. Globe sulle chiglie), sostituendolo con ritenute fisse rinviate in pozzetto. Abbiamo disegnato un tendi strallo a paranco trasversale sulle code del paterazzo, leggerissimo, super affidabile e efficiente tanto quanto un pistone. Costo: 2 bozzelli tripli, 2 occhi a basso attrito, due stopper, cioè 500€ contro 10/15k.

Il discorso sulle cose inutili o sbagliate delle barche moderne è lunghissimo, c’è da scrivere un libro.

Abbiamo incaricato Franco Manzoli, esperto navigatore oceanico, di realizzare presso la sua Velscaf alberi in alluminio anodizzato, in uniformità con lo stile della barca che sarà venduta dopo il giro. Il carbonio è vietato. Del sartiame si occuperà G&G Rigging, e sarà in Dyform. Il tondino e purtroppo il tessile sono vietati.

Per il piano velico abbiamo fatto un lavoro molto accurato assieme a Stefano Pelizza e ISD. La Ocean Globe Race limita a 9 le vele permesse ad un cutter e a 13 quelle per un ketch, oltre alla randa di cappa. La sostituzione della randa costa 48 ore di penalità, quella di un fiocco o uno spi 24, quindi le vele devono resistere tutto il giro. E’ permesso solo il Dacron, con una limitata quantità di rinforzi o accessori di dyneema, e il Nylon per gli spi. Fondamentale riflettere bene sulla scelta di quali vele e sulla loro costruzione.

Ho dato a ISD una sailchart con le combinazioni di vele per forza di vento e andatura, tante perché siamo un cutter ketch con trinchetta e mezzana. In realtà il 65′ è un finto ketch, con centro laterale di carena troppo avanti e la mezzana troppo vicina al boma di maestra. Comunque l’albero c’è, pesa, fa windage, ingombra sul ponte e da fastidio alla vista del timoniere, quindi va usato al meglio. Stefano forte del programma vele di Shirlaf ha dato i suoi pareri, e, una volta ottimizzata, abbiamo dato la sailchart, le polari di Shirlaf aumentate fino a 45 nodi, la carena 3D e conseguente VVP a Michel Delatte che ne ha fatto una simulazione sulle tappe e i mesi del OGR, fatta girare su 15 anni di meteorologia. I risultati sono stati sorprendenti, hanno evidenziato quante ore (e quindi percentuale), andatura e forza di vento, ogni vela avrebbe lavorato. Avendo tutti questi elementi, uniti all’esperienza di 50 anni di navigazione su barche classiche, ho operato una scelta iniziale del tipo e quantità di fiocchi e spi. Scelta che stiamo ottimizzando ancora oggi navigando e già, in questo primo viaggio verso sud, ci siamo accorti che per il tipo di barca, il suo peso, la tendenza orziera al lasco, il forte beccheggio e la tendenza ad abbassare la prua di bolina, privilegia più alcune vele. Una volta in Francia, dopo la Cape to Rio, avremo all’attivo miglia a sufficienza in una larga rosa di condizioni di mare e vento, per rivedere la scelta, correggere alcune vele in geometria e superficie, anche in funzione di abbassare ulteriormente il rating IRC.

Mentre scrivo c’è un’altra alba da mozzare il fiato, un altro turno. Ho staccato un attimo e abbiamo fatto il cambio da Jib3 a Genoa1, il vento cala e gira un pelo più largo, ancora un giorno e saremo nel centro dell’alta di St. Elena. Un giorno a motore e poi a fiamma verso Cape Town, sull’altro bordo, con la cucina dalla parte giusta. Non che la cosa ci abbia limitato finora. Qui si mangia 5 forchette a tutti i pasti, altro che liofilizzati e cibi semipronti, ieri a pranzo erano polpette al sugo, insalata e purè. Ieri a cena non so, dormivo…“in botta” da polpette. Facciamo due turni in 5, dalle 2 alle 8 e dalle 14 alle 20,. chi smonta fa trovare il pasto pronto al turno successivo e si mangia tutti assieme, 4 volte al giorno, poi si picchia duro sul ponte per 6 ore, senza svegliare gli altri per nessuna manovra.

Dal piano velico definitivo, o quasi perché sarà sempre in evoluzione, abbiamo ricavato i punti di scotta sul ponte e disegnato le posizioni di rotaie e di tutte le manovre. Uso da sempre attrezzature per ponte e rigging Antal, hanno il miglior rapporto carico di rottura/peso e sono affidabili nel tempo. Abbiamo messo occhi e golfari a basso attrito ovunque possibile, tolto gli enormi rinvii di scotta tipici dell’epoca sostituendoli con dei rinvii Tulip e via così su ponte, albero e rigging.

Per i winches abbiamo scelto Andersen, avevamo bisogno di pezzi che fossero in linea con lo stile della barca e avessero un buon rapporto di riduzione rispetto al diametro della base, visto il poco lo spazio a disposizione sul paramare, che fossero semplici e affidabili. Quelli delle drizze li abbiamo posizionati in coperta e diminuiti da 7 a 4, più piccoli con drizze 2:1 più facili per issare a mano il più possibile delle vele pesanti e per avere carichi più alti con cime ridotte. Non volevamo winches più leggeri perché OGR metterà del piombo a differenza di peso con le attrezzature originali. Li abbiamo elettrificati per il dopo regata e poi smontato tutti i motori e relative batterie. La OGR li vieta, come in tutte le competizioni serie per atleti.

Abbiamo creato mastre rialzate di 8cm per tutti i boccaporti, eliminato, maniche a vento e relative scatole, i tientibene dell’albero, rilievi vari, tutti i golfari a vite originali e un sacco di altre ferramenta inutili pesanti e fonte di entrata di acqua in coperta.

Per leggerezza e maggiore grip non abbiamo ripristinato il teak su ponte e tuga lasciandolo solo in pozzetto, come le barche inglesi, nordiche e americane, parecchio più belle e leggere esteticamente, meno calde dentro e ben più pratiche da usare.

Per il problema del prendisole rialzato e pericoloso, per proteggere il più possibile randista e mezzanista, per poter tenere sempre aperto il boccaporto di entrata e l’oblò delle cucina, per poterla chiudere con un mylar a poppa e riscaldarla dando un posto di tregua a timoniere e tailer, che nel grande sud si alterneranno ogni ora, o mezz’ora a seconda del freddo e della fatica, abbiamo disegnato una doghouse rigida. Potrà piacere o no ma serve tantissimo. Abbiamo riempito il tettuccio di pannelli custom Solbian coperti da un antisdrucciolo molto aggressivo, utilissimo per lavorare alla randa terzarolata mettendo matafioni o sicure alle borose. Non abbiamo lazy jacks, qui non c’è posto per roba pesante che fa windage o inutile in equipaggio, né per gente pigra.

La rivoluzione vera l’abbiamo fatta dentro.

Prima abbiamo smontato qualsiasi cosa fosse asportabile tranne il motore. Come interni non si può variare molto, ne togliere o sostituire porte, sportelli, paglioli ecc.. Si può, e l’abbiamo fatto, realizzare una paratia stagna di prua e una di poppa. Quella di prua è quella che divide i bagni dalla cabina dei marinai, e in quel caso è permesso smontare tutti gli arredi a prua. Quella a poppa è la paratia che divide la cabina armatoriale dalla zona dei gavoni sotto il pozzetto.

Il grosso lavoro l’abbiamo fatto muovendo i grandi pesi fissi come generatore, batterie, pompe, impianti vari, serbatoi dell’acqua in posizioni che aiutassero un migliore passaggio sull’onda, a correggere l’assetto longitudinale e aumentare il momento raddrizzante in entrambi i bordi a partire dal minimo sbandamento. Abbiamo anche concentrato in una zona unica, e sempre facilmente accessibile, tutte le pompe, i filtri e tutto quello che ha bisogno di un veloce intervento o manutenzione.

Abbiamo rimontato il circuito di acqua dolce a pressione, fredda e calda, in cucina e nei bagni, sostituendo il grosso desalinizzatore a 220v da 200lt/h con uno a 24v. da 40l/h, e montato un Pick & Drink, entrambi Schenker, per bere l’acqua dei serbatoi risparmiando il peso e l’inquinamento di bottiglie di plastica. Abbiamo montato un circuito separato di acqua dolce fredda a pedale in cucina e nei bagni, dieci persone con un autoclave sono pericolosissime e, a parte i doccia time autorizzati, meno acqua si consuma, meno va il desalinizzatore, meno va il motore o il generatore, meno gasolio si imbarca. Questo vuol dire meno peso a bordo, meno schifo del pianeta e, visti i prezzi odierni, più peso nelle casse del team. In cucina c’è acqua salata a pedale per lavare e cucinare.

Per quanto riguarda l’impianto elettrico, oltre a cambiare il quadro principale, tutti i cablaggi e mettere tutte le luci a led dentro e fuori, abbiamo diminuito e batterie da 12 a 8, eliminato il circuito a 12V. , compreso l’alternatore sul motore sostituito con un secondo a 24V.. Le due batterie a 12V. del motore sono caricate tramite un caricabatterie Victron alimentato a 24V., le pochissime utenze rimaste a 12v funzionano con degli stabilizzatori di corrente Victron 24- 12v.

Una barca da crociera di questa taglia consuma più o meno 450/500 ah al giorno tra strumenti, frighi (se no le polpette col cavolo che le puoi fare), desalinizzatore e luci esterne/interne. Abbiamo più di 500w di pannelli ma luce solare utile meno di 12 ore al giorno, e nel sud molte di meno. Nella realtà il tettuccio è in ombra almeno mezza giornata, dipende da rotta e andatura.

Per fare corrente a sufficienza da pannelli solari avremmo dovuto montarne tantissimi su tuga e passeggiate, ma poi sarebbero stati in ombra dalle vele a riva e anche da tutte quelle che mettiamo sulla passeggiata al vento per raddrizzare la barca. Forse utile un generatore idrodinamico, ma la poppa di questa barca è molto distante dall’acqua. I pannelli Solbian pompano di brutto, ad oggi carichiamo due ore ogni 2 giorni, per cui 8 litri di consumo complessivo a botta. Il che vuol dire 120/150 litri su una tappa della OGR da 30 giorni. Più che fattibile diviso 10 umani.

In ultimo abbiamo montato un Webasto fornito dalla ottima ed esperta Bcool Engineering, con cui abbiamo lavorato ad un impianto ben più sofisticato ed ottimizzato per il nostro cruising performance cat in carbonio U53′. Abbiamo messo bocchette anche i un paio di armadi per asciugare indumenti cerate e stivali.

Sono convinto che il successo di una regata oceanica dipenda il 30% dalla barca, il 40% dall’equipaggio e il 30% dalle vele, che ne sono il motore. Nel caso OGR, dove non si possono cambiare, la faccenda prende ancora più rilievo, devono durare e ci deve essere un bravo velaio ad ogni tappa.

Huck Finn III, la barca scuola di Team Malingri, è un Gallant 53′ prodotto nel 72′ da Southern Ocean Shipyard su disegno di Van de Stadt, gioiellino velocissimo che plana come una slitta (e i disegni Van de Stadt li da a chi vuole tra i 30 e i 50 euro l’uno…tiè!), e macina tra le 15 e le 20 mila miglia all’anno. Da questo abbiamo tratto un’esperienza enorme e attuale sulla bontà reale di materiali e attrezzature, e di come farli resistere al lavoro prolungato e durare nel tempo.

Un gioco di vele in Dacron fatte su specifiche Malingri dura 4/5 anni (80/90k miglia), e di mazzate ne prendiamo tante perché usciamo dal mediterraneo in pieno inverno e torniamo dai Caraibi all’Europa in primavera. Per un velaio inglese o francese è tutto chiaro, per uno italiano no, lasciate perdere il marketing; inoltre le vele in dacron sono in scomparsa, i vari marchi le fanno fare a terzisti e i designer troppo giovani non ne conoscono i segreti.

Per la prima volta in vita mia ho lavorato con North Sails e nello specifico con Gigio Russo e con Guido Cavalazzi come designer che è il mio nuovo guru. Ho trovato il miglior rapporto tra qualità e costo, una cortesia ed un efficienza ineguagliabili, ma soprattutto una competenza enorme, che secondo me sul Dacron non ha eguali non solo in Italia.

Poi ho trovato una cosa che non immaginavo, essendo noi, un 65′ con vele in Dacron nel parco di vele in carbonio per i 100’/130′ del loft di Carasco, un piccolo cliente: la passione, una enorme passione. Gigio e Guido hanno voluto produrre loro stessi delle vele che solitamente fa North Spagna, loro stessi vuol dire con le loro mani, cioè il CEO e il master designer seduti per terra a fare vele per Translated 9.

Ho voluto sedermi a fianco di Guido davanti al PC e scambiare con lui esperienze impostando le 13 vele, tutte fino alla tormentina. Come geometria laterale e superfici siamo partiti dai disegni VMV, poi tutto è stato ottimizzato Come dicevo siamo un ketch cutter, quindi interazione randa/mezzana, yankee/trinchetta in un mondo di sloop con vele in laminato. Guido negli ultimi 15 anni ha disegnato tantissime vele per barche classiche e d’epoca, la mezzana e la trinca sono anche per lui pane quotidiano. Ho imparato più di quello che ho insegnato, che si è limitato a qualche dettaglio costruttivo.

Oggi siamo in acqua, quelle in testa abbiamo solo provate, navighiamo con vele da trasferimento, per preservarle per la Cape to Rio. Altre come il Genoa 2, lo Yankee 2, la trinchetta e tutti gli spi asimmetrici sono in uso da 4000 miglia. Gli spi sono una bomba, per fortuna mi sono fidato di me stesso e solo su questo differito dall’esperienza Shirlaf in fatto di spi e superfici. Il Genoa2 fa il suo uso, molto particolare, lo abbiamo già stressato a puntino ed è perfetto, ci ha regalato la velocità di punta. Abbiamo avuto quasi una settimana di bolina stretta con tanto mare e 23/27 nodi di vento reale, abbiamo viaggiato con Trinca e Yankee 2, assieme o singoli, e siamo molto soddisfatti. Da Rio terremo in uso anche le rande e tutti i fiocchi maggiori per le oltre 5000 miglia di ritorno verso la Bretagna in pieno inverno.

Di bolina all’inizio, poi sempre più larghi fino al lasco, passaggio dell’equatore con venti leggeri, poi bolina larga e alla fine stretta, fino a prendere l’aliseo di N/W, con le mazzate da 50/60 nodi delle depressioni invernali a nord delle Azzorre e nel golfo di Biscaglia. Un bel test che ci servirà per ulteriori sviluppi.

A fiamma! e stiamo pensando di disegnare sulla prua. È un’altra barca, pesiamo a vuoto 28,65 T, siamo lo Swan 65 S&S più leggero al mondo. Abbiamo recuperato RM e l’assetto è migliorato tantissimo. Rimane un po’ di beccheggio. Cammina subito, con poco vento, fino alla velocità critica, accelera prima e stringe moltissimo grazie al lavoro di simmetria sulla chiglia. Grazie alla leggerezza, parte in surf con molta più facilità mantenendo la planata più a lungo

A fiamma il timone dello Swan 65 è sempre durissimo, ci lavoreremo.

Fin ora abbiamo avuto onde ridicole e poco vento al lasco, la top speed è stata 20kn. Non vediamo l’ora di surfare Little Mama nel grande sud. Hugo Vau è a bordo con noi e correrà la Ocean Globe Race 2023 sulla nostra “Ford Mustang preparata Shelby”.

Stay “Tuning”…a lot more to come.

Bellissimo resoconto che fa gia pregustare la futura avventura.

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